LE RAGAZZE DI CARTA DI ANDREA PENNACCHI.
Un film sulla perdita dell’innocenza. Anzi, di molte innocenze: ne Le mie ragazze di carta, nuovo film di Luca Lucini con un cast di prima grandezza, c’è una toccante riflessione sugli effetti che il boom economico ha avuto sul carattere degli italiani.
“I Bottacin sono innocenti, naif… e scoprono questa città – che ancora grande non è – però per loro è New York… la scoprono, e ne scoprono anche le incongruenze, le falsità…”
Andrea Pennacchi
Signore e signori, lasciate che vi presentiamo la famiglia Bottacin: al centro, Primo, padre di famiglia e neo-assunto postino della città di Treviso.
Alla sua sinistra, la moglie Anna, madre presente e premurosa di Tiberio, adolescente il cui coming of age è al centro del film di cui stiamo per dirvi.
I Bottacin lasciano la campagna nella quale sono cresciuti e hanno vissuto, per trasferirsi in città.
Le luci di Treviso, in quei primi anni Settanta, vista da certe prospettive possono sembrare rutilanti come quelle di New York, ma nessun cambiamento profondo è immune da problemi.
E così la famiglia Bottacin dovrà imparare a gestire nuove distanze sociali, incontrerà problemi nell’ambientarsi alla nuova situazione… dovrà – insomma – misurarsi con un cambiamento profondo che non riguarda solamente loro, ma che investe in quegli anni l’intero paese.
A raccontarci del film è venuto Andrea Pennacchi. Con la sua interpretazione di Primo, Pennacchi conferisce al film di Luca Lucini forza ed espressività.
Ma in questa avventura artistica, il mitico Pojana di Propaganda ha trovato sodali all’altezza. Nell’intervista che ci ha gentilmente concesso, parleremo di tutto, a cominciare dai numi tutelari che stendono la loro ala benevola su un racconto garbato e pieno di delicata poesia.
Sul film di Lucini, va detto, veglia benigno almeno uno spirito guida: quello di Pietro Germi, che con il suo Signore e signori raccontò quella stessa provincia e ne mise a nudo le piccolezze, le meschinità.
In Le mie ragazze di carta, a redimere il racconto da un’eccessiva amarezza sono però l’affetto e la tenerezza provate dal regista per la famiglia Bottacin: e allora ecco che le prove d’attore di Pennacchi e Sansa sono chiamate a farci provare empatia verso quella naïveté, quello sguardo sorpreso – a volte stupito – dai modi di relazione e dalle forme sociali che la vita in città comporta.
Prova superata brillantemente, va detto: e qui arriviamo all’altro demone che mette il suo zampino benigno nella storia: quello di Luigi Meneghello, che se pur non è direttamente chiamato in causa da Lucini o dai suoi compagni d’avventura, sembra possa aver fornito più di uno spunto di riflessione alla scrittura del film.
Non fosse che per il lavoro sulla lingua e sul dialetto.
A proposito: menzione speciale a Maya Sansa per il modo assolutamente fluido e credibile col quale è riuscita a padroneggiare gli accenti e il ritmo di un dialetto lontano dal suo: sentendola recitare nei panni di Anna, moglie di Primo e madre di Tiberio (il bravissimo e giovanissimo Alvise Marascalchi), si potrebbe quasi pensare sia nata da queste parti!
Altre due brevi note per commentare le bellissime prove d’attore di Neri Marcorè e Cristiano Caccamo: il primo, nei panni di un un fantastico prete con una passione per la palla ovale (Don Marcello è insegnante di rubgy), il secondo, controllato e sensibile interprete nei panni di un travestito in attesa di operazione, che insegnerà il gioco degli scacchi a un sospetto
“I Bottacin sono innocenti, naif… e scoprono questa città – che ancora grande non è – però per loro è New York… la scoprono, e ne scoprono anche le incongruenze, le falsità…”
Andrea Pennacchi
Signore e signori, lasciate che vi presentiamo la famiglia Bottacin: al centro, Primo, padre di famiglia e neo-assunto postino della città di Treviso.
Alla sua sinistra, la moglie Anna, madre presente e premurosa di Tiberio, adolescente il cui coming of age è al centro del film di cui stiamo per dirvi.
I Bottacin lasciano la campagna nella quale sono cresciuti e hanno vissuto, per trasferirsi in città.
Le luci di Treviso, in quei primi anni Settanta, vista da certe prospettive possono sembrare rutilanti come quelle di New York, ma nessun cambiamento profondo è immune da problemi.
E così la famiglia Bottacin dovrà imparare a gestire nuove distanze sociali, incontrerà problemi nell’ambientarsi alla nuova situazione… dovrà – insomma – misurarsi con un cambiamento profondo che non riguarda solamente loro, ma che investe in quegli anni l’intero paese.
A raccontarci del film è venuto Andrea Pennacchi. Con la sua interpretazione di Primo, Pennacchi conferisce al film di Luca Lucini forza ed espressività.
Ma in questa avventura artistica, il mitico Pojana di Propaganda ha trovato sodali all’altezza. Nell’intervista che ci ha gentilmente concesso, parleremo di tutto, a cominciare dai numi tutelari che stendono la loro ala benevola su un racconto garbato e pieno di delicata poesia.
Sul film di Lucini, va detto, veglia benigno almeno uno spirito guida: quello di Pietro Germi, che con il suo Signore e signori raccontò quella stessa provincia e ne mise a nudo le piccolezze, le meschinità.
In Le mie ragazze di carta, a redimere il racconto da un’eccessiva amarezza sono però l’affetto e la tenerezza provate dal regista per la famiglia Bottacin: e allora ecco che le prove d’attore di Pennacchi e Sansa sono chiamate a farci provare empatia verso quella naïveté, quello sguardo sorpreso – a volte stupito – dai modi di relazione e dalle forme sociali che la vita in città comporta.
Prova superata brillantemente, va detto: e qui arriviamo all’altro demone che mette il suo zampino benigno nella storia: quello di Luigi Meneghello, che se pur non è direttamente chiamato in causa da Lucini o dai suoi compagni d’avventura, sembra possa aver fornito più di uno spunto di riflessione alla scrittura del film.
Non fosse che per il lavoro sulla lingua e sul dialetto.
A proposito: menzione speciale a Maya Sansa per il modo assolutamente fluido e credibile col quale è riuscita a padroneggiare gli accenti e il ritmo di un dialetto lontano dal suo: sentendola recitare nei panni di Anna, moglie di Primo e madre di Tiberio (il bravissimo e giovanissimo Alvise Marascalchi), si potrebbe quasi pensare sia nata da queste parti!
Altre due brevi note per commentare le bellissime prove d’attore di Neri Marcorè e Cristiano Caccamo: il primo, nei panni di un un fantastico prete con una passione per la palla ovale (Don Marcello è insegnante di rubgy), il secondo, controllato e sensibile interprete nei panni di un travestito in attesa di operazione, che insegnerà il gioco degli scacchi a un sospettoso Primo, aiutandolo a superare i pregiudizi di cui è imbevuto.
Le mie ragazze di carta è un bel film, una commedia come se ne facevano una volta, che non punta a strappare risate con stratagemmi volgari o facili strizzate d’occhio, ma riesce a stimolare riflessioni importanti sulle difficoltà che crescere comporta in qualsiasi periodo storico, e – regalandoci più di un sorriso agrodolce – ci offre uno sguardo su come eravamo, con affetto sincero e non retorica partecipazione.
so Primo, aiutandolo a superare i pregiudizi di cui è imbevuto.
Le mie ragazze di carta è un bel film, una commedia come se ne facevano una volta, che non punta a strappare risate con stratagemmi volgari o facili strizzate d’occhio, ma riesce a stimolare riflessioni importanti sulle difficoltà che crescere comporta in qualsiasi periodo storico, e – regalandoci più di un sorriso agrodolce – ci offre uno sguardo su come eravamo, con affetto sincero e non retorica partecipazione.